Dal discorso di DAVID GROSSMAN all'apertura del festival della letteratura di Berlino 2007 (pubblicato da Repubblica).
"(...) Mi sono chiesto come una persona normale - come lo erano molti nazisti e loro sostenitori - possa entrare a far parte di un meccanismo di distruzione di massa. In altre parole cosa devo reprimere, offuscare, rimuovere, uccidere di me per poter collaborare a un genocidio programmato, per essere in grado di uccidere un altro essere umano, per volere lo sterminio di un popolo intero, o accettarlo in silenzio.
Forse però dovrei affinare la domanda: in questo momento sto forse collaborando - coscientemente o inconsapevolmente, attivamente o passivamente - a un processo il cui scopo è danneggiare un altro uomo o un gruppo di persone? "La morte di un uomo è una tragedia", ha detto Stalin, "ma quella di milioni è statistica".
Parliamo per un attimo di come una tragedia si trasforma in statistica. Non dico, naturalmente, che siamo tutti degli assassini. È ovvio che no. Eppure la maggior parte di noi sembra quasi indifferente alla sofferenza di popoli interi, vicini e lontani, o a quella di centinaia di milioni di esseri umani poveri, affamati, ammalati, sia nelle nostre nazioni che in altre parti del mondo. Impariamo a non curarci del dolore di estranei che lavorano per noi, del patimento di popoli che vivono sotto occupazione - nostra o di altri -, o in un regime dittatoriale o in condizioni di schiavitù.
Con stupefacente facilità creiamo meccanismi che hanno il compito di farci prendere le distanze dalla sofferenza altrui. Riusciamo, nella nostra coscienza e a livello emotivo, a ignorare il nesso causale che esiste fra la prosperità economica delle nazioni occidentali e la povertà altrui; tra il nostro benessere e le vergognose condizioni di lavoro di altra gente; tra la qualità della nostra vita, i nostri condizionatori d' aria e le nostre automobili, e le sciagure ecologiche che si abbattono su altri.
Questi "altri" vivono in condizioni talmente terribili che per lo più non hanno nemmeno la possibilità di porre domande come quelle che pongo io ora. Non è solo il genocidio ad annientare il "nocciolo" di un essere umano. Anche la fame, la povertà, le malattie, l'esilio spengono e uccidono gradualmente l'anima del singolo, e talvolta di un popolo intero.
Noi non vogliamo assumerci nessuna responsabilità personale per le cose terribili che avvengono a poca distanza da noi. Né mediante azioni dirette né limitandoci a esprimere solidarietà. Ci fa comodo - quando si parla di responsabilità personale - far parte di una massa indistinta, priva di volto, di identità, e all'apparenza libera da oneri e colpe. E probabilmente è questa la grande domanda che l'uomo moderno deve porsi: in quale situazione, in quale momento, io divento "massa"?
Ci sono definizioni diverse per il processo con il quale un individuo si confonde nella massa o accetta di consegnarle parti di sé. E siccome noi siamo uomini di letteratura, ne sceglierò una conforme ai nostri interessi. Ho l'impressione che ci trasformiamo in "massa" nel momento in cui rinunciamo a pensare, a elaborare le cose secondo un nostro lessico, e accettiamo automaticamente e senza critiche espressioni terminologiche e un linguaggio dettatoci da altri. Io mi trasformo in "massa" quando cesso di formulare con le mie parole compromessi e scelte morali che sono disposto a compiere.(...)"
"(...) Mi sono chiesto come una persona normale - come lo erano molti nazisti e loro sostenitori - possa entrare a far parte di un meccanismo di distruzione di massa. In altre parole cosa devo reprimere, offuscare, rimuovere, uccidere di me per poter collaborare a un genocidio programmato, per essere in grado di uccidere un altro essere umano, per volere lo sterminio di un popolo intero, o accettarlo in silenzio.
Forse però dovrei affinare la domanda: in questo momento sto forse collaborando - coscientemente o inconsapevolmente, attivamente o passivamente - a un processo il cui scopo è danneggiare un altro uomo o un gruppo di persone? "La morte di un uomo è una tragedia", ha detto Stalin, "ma quella di milioni è statistica".
Parliamo per un attimo di come una tragedia si trasforma in statistica. Non dico, naturalmente, che siamo tutti degli assassini. È ovvio che no. Eppure la maggior parte di noi sembra quasi indifferente alla sofferenza di popoli interi, vicini e lontani, o a quella di centinaia di milioni di esseri umani poveri, affamati, ammalati, sia nelle nostre nazioni che in altre parti del mondo. Impariamo a non curarci del dolore di estranei che lavorano per noi, del patimento di popoli che vivono sotto occupazione - nostra o di altri -, o in un regime dittatoriale o in condizioni di schiavitù.
Con stupefacente facilità creiamo meccanismi che hanno il compito di farci prendere le distanze dalla sofferenza altrui. Riusciamo, nella nostra coscienza e a livello emotivo, a ignorare il nesso causale che esiste fra la prosperità economica delle nazioni occidentali e la povertà altrui; tra il nostro benessere e le vergognose condizioni di lavoro di altra gente; tra la qualità della nostra vita, i nostri condizionatori d' aria e le nostre automobili, e le sciagure ecologiche che si abbattono su altri.
Questi "altri" vivono in condizioni talmente terribili che per lo più non hanno nemmeno la possibilità di porre domande come quelle che pongo io ora. Non è solo il genocidio ad annientare il "nocciolo" di un essere umano. Anche la fame, la povertà, le malattie, l'esilio spengono e uccidono gradualmente l'anima del singolo, e talvolta di un popolo intero.
Noi non vogliamo assumerci nessuna responsabilità personale per le cose terribili che avvengono a poca distanza da noi. Né mediante azioni dirette né limitandoci a esprimere solidarietà. Ci fa comodo - quando si parla di responsabilità personale - far parte di una massa indistinta, priva di volto, di identità, e all'apparenza libera da oneri e colpe. E probabilmente è questa la grande domanda che l'uomo moderno deve porsi: in quale situazione, in quale momento, io divento "massa"?
Ci sono definizioni diverse per il processo con il quale un individuo si confonde nella massa o accetta di consegnarle parti di sé. E siccome noi siamo uomini di letteratura, ne sceglierò una conforme ai nostri interessi. Ho l'impressione che ci trasformiamo in "massa" nel momento in cui rinunciamo a pensare, a elaborare le cose secondo un nostro lessico, e accettiamo automaticamente e senza critiche espressioni terminologiche e un linguaggio dettatoci da altri. Io mi trasformo in "massa" quando cesso di formulare con le mie parole compromessi e scelte morali che sono disposto a compiere.(...)"
1 comment:
ho letto che fai scambio link,se ti va di aggiungere anche il mio aggiungo il tuo… www.agloco-ciao.blogspot.com …fammi sapere a aglocolink@interfree.it …grazie in anticipo.
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