December 9, 2008

Catania o Responsabilita'

All'universita' di Catania sono morti 15 ricercatori, e altre decine sono ammalate di tumori vari, avvelenati nel corso degli anni dall'assenza di misure di sicurezza nel laboratorio di Farmacia.

L'insieme di omerta' e paura dei cosidetti poteri forti dell'universita' e della citta' ha tenuto lo scandalo sotto coperta per anni. Adesso finalmente scoppia lo scandalo, anche se non mi sembra di vedere troppi scandalizzati. La cosa mi riempie di sgomento

Soprattutto una cosa mi da le allucinazioni convulsive (si, sono arrabbiato): nessun commento e soprattutto nessuna azione da parte delle alte cariche dell'universita stessa. Il rettore tace. Ma come tace?

Ecco cosa succederebbe in un paese che dimostrerebbe piu' civilta': il rettore si sarebbe gia' dimesso da un pezzo, e con lui le persone che siedono piu' in basso nell'albero delle responsabilita', nei rami di quell'albero che arrivano fino al laboratorio. Secondo me in america o in molti altri posti in europa, la gente e' abituata a queste cose.

Perche', cosa c'e' alla base di un'alta carica? Io vedo due cose che vanno, e devono sempre andare, a braccetto: potere e responsabilita'. Seguiti a ruota da uno stipendio proporzionale, cosa da non trascurare. Un'alta carica, dal parlamento alla piccola azienda, guadagna in proporzione al livello di responsabilita'. Il principio e' giusto in se', in linea con il "guadagno proporzionale al rischio", della corrente dottrina economica. Ecco cosa un responsabile ai piani alti della gerarchia sempre e': responsabile. E cosi' il rettore di quell'universita'.

Importante: questo non e' giustizialismo da piazza, qualunquismo becero e forcaiolo. E' molto facile immaginare che il rettore e i suoi corresponsabili non abbiano certo voluto il disastro, e forse nemmeno erano a conoscenza di quello che accadeva. Ma anche in questo caso, loro sono i responsabili di quel micromondo, perche' investiti di quella posizione, e quindi di quella responsabilita' di quel potere e quel salario.

Non importa perche' quella cosa e' successa: loro sono professionalmente i responsabili, e professionalmente ne devono pagare il conto. Professionalmente dando le dimissioni, e noi tutti esigendole, poi civilmente o penalmente dopo i risultati delle indagini. Si puo' anche pensare che alla fine delle indagini, essi vengano ri-inseriti, magari in sordina, se le responsabilita' saranno chiarite totalmente e loro ne saranno usciti incolumi. Ma ora, adesso, semplicemente prendetevi le vostre responsabilita' e lasciate il posto. Subito.

Altrimenti una alta posizione gerarchica, perdendo la responsabilita', non mantiene in tasca altro che il potere e il denaro corrispondente. Da responsabile diventa solo padrone. Tali erano la monarchia e la dittatura, sistemi che la storia abbattuto con la forza. E mi piace che suoni come una minaccia. In democrazia di padroni senza responsabilita' non devono essercene, nel pubblico come nel privato. Le mancate dimissioni del rettore e dei suoi corresponsabili secondo me girano i riflettori, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, su una di quelle sacche monarco-dittatoriali. Su queste si basano, a diverse scale di grandezza, molti piani del nostro condominio-paese.

Forza catanesi.

November 24, 2008

Ricerca italiana su Nature

Grande risalto su Nature a quello che succede in Italia. Da parte mia grandi complimenti ai ragazzi che sembra si stiano organizzando meglio che (noi) in passato. Un editoriale, una lettera dei Ricercatori Precari e un'altra, pubblicati insieme nell'ultimo numero di Nature. Dimostrano un'attenzione da parte dei grandi che non mi aspettavo, forse ci tengono a noi, gli pare brutto se sprofondiamo. Meno male.

La ricetta, per una volta, sembra davvero semplice: basta con i concorsi centralizzati, e via a una sana e trasparente meritocrazia, che premia i risultati. Ho sentito obbiettare (annozero): "Come giudicare il lavoro di ricercatori? non si puo'" Certo non e' facilissimo, ma chi se ne frega, facciamolo e basta, guardiamo alle pubblicazioni e bon. Non e' perfetto, ok, ma come prima approssimazione si puo' benissimo fare. Come se un morto di fame non accettasse un buon pranzo perche' la tavola non e' ben apparecchiata. Andiamo, non ci sono scuse. Solo la meritocrazia puo' guarire dai dinosauri inutili e mafiosi, dal nepotismo dai fondi scomparsi. Certo ci vuole un buon controllo, quello si.

Per chi non potesse leggere i link di Nature, perche' maledettamente a pagamento, ecco un piccolo estratto:

Situations vacant

Italy's universities should be free to hire who they want — and should be accountable for the result.

It took violent street demonstrations to force the Italian government to backtrack on its proposal to enact — hot on the heels of a hefty budget cut — a major reform of the nation's universities through decree. Last week, education and research minister Mariastella Gelmini agreed instead to put her planned reform through normal legislative procedures, which, unlike a decree, will involve parliamentary debates and, hopefully, consultation with the universities.

But on 6 November, Gelmini rushed through part of the reform in a decree anyway. With a round of concorsi, the national competitions to select academic staff, due to start within days, Gelmini introduced a relatively minor change in the procedures of the committees that select the staff. The not-so-minor result is that those concorsi, for 1,800 professorships, will be delayed by at least three months. And if the change is challenged in court, as it may well be, the delay could stretch beyond a year — at a time when Italian universities have already been unable to recruit new professors for more than four years.

The cumbersome concorso system does not need such tinkering, it needs to be abandoned. Imagine if the Massachusetts Institute of Technology (MIT) in Cambridge had to tell Washington whenever it had an vacancy; then wait for the administration to collate enough empty posts nationwide to warrant opening a competition; and then allow academics from all universities to elect a national, discipline-related committee to choose the candidate — a committee on which only one MIT representative could sit.

Such centralized recruitment has been a feature of Italian universities for the best part of a century. It wasn't until the 1990s that universities gained sufficient control of their budgets to decide how many professors they wanted to recruit, even if they couldn't choose the successful candidates. The government refuses to grant them that last authority partly because politicians fear that, left to themselves, some universities would appoint professors on the basis of their local political and personal connections rather than their scientific merit. There is good reason for this worry: it happens even within the concorso system.

Nonetheless, Italy's universities should be allowed to recruit whomever and however they want — with the all-important proviso that they also be evaluated on their academic performance. If the best-performing universities received more state support, and the underperformers received less, the incentive to play politics when hiring would plummet.

Italy's previous, centre-left government paved the way for such a system just before it fell in April, when it passed a law to create ANVUR, an agency to evaluate university and academic performance. Gelmini simply needs to complete the establishment of ANVUR, get it working and put an end to the concorso system. Her predecessor had recognized that it would take a while to establish the new institution and so had set in motion the current, now frozen, round of concorsi to allow university life to go on. Gelmini was wrong to interfere with it.

A level of reform is clearly needed. Because Italian universities don't have to take responsibility for any recruitment decisions, some have become lax, bloated and lazy. But reforms need to be done with a strong, knowledgeable and clever hand — something that Gelmini has so far failed to provide.

October 18, 2008

La colonna maledetta

Questo e' un serissimo esperimento di sociologia applicata. Scopo: trovare differenze tra culture simili, sul modo in cui e' trattata la donna, sul modo in cui si cerca di vendere l'informazione. Tecnica: web browsing (inglesismo da venditore) nei siti dei maggiori giornali del paese in analisi.

Un solo criterio: nella pagina principale del giornale cercare la o le foto che ritraggono donne; nude, seminude, in posizioni ammiccanti, pornografiche, sexy, che rimadano in qualche modo al sesso; in mancanza di donne, uomini in simili atteggiamenti; immagini in cui il sesso sia esplicito, altrimenti implicito ma presente; il cui messaggio sia comunque legato al sesso, anche di striscio; in mancanza di tali immagini, prendere immagini di donne in cui la superficie di pelle esposta alla foto sia maggiore...

Insomma, cercare il pornografico nella pagina principale del giornale; in mancanza di pornografia, scendere di aspettative fino a prendere il massimo di carnazza esposta, anche solo un collo nudo, una caviglia, un ditino.

Prendere almeno una foto per giornale. Se ce n'e' di piu', prenderne di piu'. E vedere il risultato. Giornali scelti: LeMonde.fr, NyTimes.com, ElPais.es e sopratutto Repubblica.it.

Risultato: Repubblica.it batte resto del mondo di parecchi ordini di grandezza. La carne esposta e i messaggi emanati dalla colonna maledetta alla destra delle notizie non ha eguali. Ovviamente un assaggio dei campioni registati e' disponibile qui attorno.


Da notare l'interesse per i glutei mostrati in molte pose, l'uso del corpo della donna per richiamare la bestia che e' dentro il lettore maschio stanco di sentir dire che gli operai muoiono sul lavoro e che campi rom sono bruciati. Glutei e capezzoli sono li' per i lettori, affianco a Bush che ordina una guerra, alla borsa che crolla, al papa di domenica, nulla importa, ci sono solo quei bei corpicini a distrarre lo sguardo e solleticare l'inguine. Meritevoli di attenzione sono i titoli che accompagnano tali grafiche. "La signora Briatore in copertina, magazine fa il pieno di vendite", "Eleonora e Barbara Berlusconi i tuffi delle sorelle sono un cult", "Arriva Jenna zombi spogliarellista". Dificili da perdere.

Veniamo invece alla risposta della stampa straniera all'algoritmo utilizzato per scegliere foto (ripeto, nella home page). Ecco il risultato sui giornali stranieri. Pare ridicolo il confronto, quasi teenageriale, ma questo e'. A volte l'unica tentazione carnale si risolve in una vignetta, o in un tennista eroe nazionale. Densita' di capezzoli non rilevabile.

Conclusione: i giornali stranieri sembrano indicare che per vendere un giornale (che in rete significa renderlo appetibile per successive visite) non sia necessaria l'esposizione del corpo nudo in immagini che richiamano al sesso volgarmente o meno. Repubblica (ma anche il corriere.it) non ci crede. In Italia l'informazione seria di questo giornale va di pari passo con i glutei della Marini. Quello che disturba e' che Repubblica.it dimentica una cosa importante: in internet si e' liberi di scegliere. Andando su un sito di informazione nazionale (in cui si trovano articoli elaborati e seri) il lettore non sta scegliendo di consumare il prodotto che passa sotto il nome di pornografia, non importa se il termine non e' quello corretto. E' libero di farlo semplicemente scegliendo un altro indirizzo, che di tali indirizzi ne e' piena la rete.

Non fraintendete quest'esperimento, non si tratta di bacchettonaggine. Non e' la pornografia il punto qui. E' la strategia di quel giornale, e' la serieta' di quel giornale, che alla fine rispecchia quella del paese. E' una vetrina per tutti noi. Non sono i culi il problema, ma i culi in quella posizione, vicino al primo ministro, vicino al papa, vicino a una guerra, a un commento importante. Perche' sono li? Perche' quella vetrina? E' l'italiano che compra di piu' se ci sono tette al vento o sono loro che ci modificano dall'alto geneticamente? Servono davvero? Ma esiste playboy.com! la latinita'? E in Spagna allora, dove il massimo dell'eros e' il sudore di Nadal? Manco si puo' dare, almeno direttamente, la colpa a Berlusconi stavolta, trattandosi di un giornale di opposizione e non di Panorama.

Io posso dire che di noi gli stranieri che ho conosciuto ridono vedendo quella home page, e semplicemente non capiscono come una velina possa diventare ministro delle pari opportunita'. Ma le donne che pensano? Non e' che vorrebbero piu' uomini in quella colonna vero?

October 8, 2008

La 122 ben temperata.

Suonando la chitarra puo' nascere la domanda (o no?) del perche' i capotasti sono disposti in quella maniera non uniforme sul manico. I capotasti sono quelle stanghette di metallo che stanno perpendicolari alle corde sul manico e delimitano "le note" della chitarra (mentre in strumenti quali violini, viole o contrabbassi non esistono).

E allora mi sono chiesto perche' la loro distanza nella chitarra diminuisce, e soprattutto di quanto diminuisce, perche' mi sapeva di cosa interessante. E in effetti lo e' (o no?). E la cosa porta lontano, agli arbori della musica come la conosciamo noi occidentali. Pur essendo un totale ignorante di storia della musica, mi arrischio a una spiegazione che sara' piena di errori storici (spero meno matematici).

Prima che Bach la rendesse ufficialmente riconosciuta, la musica (o meglio il modo di suonarla e scriverla) era diversa. La ragione stava nei suoi mattoni fondamentali, le note. Le note non erano quelle che noi conosciamo. Ogni nota e' in verita' una frequenza di un'onda acustica, quindi le frequenze usate, diciamo nel medioevo, non erano quelle che usa Max Pezzali oggi giorno (il che porta a chiedersi se ci sia stata vera evoluzione).

La ragione di questa differenza sta nelle scale usate. Prima di Bach (che uso come riferimento non so quanto correttamente) impazzava la scala Pitagorica o una sua parente chiamata Naturale, mentre Bach e Max Pezzali decisero che quella non andava troppo bene e coniarono insieme quella cosidetta Temperata. Bach quindi scrisse Il clavicembalo ben temperato e Max Pezzali Sei un mito. Entrambi ebbero un discreto successo, a dimostrazione del fatto che l'orecchio delle persone non e' troppo sensibile a stonature e piccole imprecisioni in frequenza.

Problemi Pitagorici

Perche' le stonature c'erano. Per gli 883 e' facile immaginarlo, ma anche per Bach non ci si puo' esimere dalla constatazione. Perche' stonature? La scala Pitagorica e' naturale in quanto si basa su un principio immediato: la divisione in due di un intervallo o di una corda di chitarra. Dividendo a meta' una corda (sempre alla stessa tensione) si ottiene il doppio della sua frequenza. Dal principio della divisione a meta' si possono generare tutte le note. E all'orecchio umano questo piace, l'armonia tra le frequenze generate pare naturale. Ma esistono problemi, legate alle terribili quinte del diavolo e al loro famigerato Circolo delle quinte, che mai puo' essere chiuso.

La quinta e' la nota che si ottiene moltiplicando una frequenza fo per 1.5, cioe' 3/2 (cioe' aggiungendole meta' di se stessa, cosa che Pitagora ama fare sempre). La quinta di Do e' Sol per esempio, ovvero fsol = 1.5 fdo. Il problema con Pitagora e la sua scala e' che se parto da Do e salgo in frequenza sempre di quinta in quinta, prima o poi vorrei tornare a un Do. Di qualche ottava sopra, ma sempre un Do vorrei. E invece no.

Per ottenere la stessa nota ma all'ottava superiore devo raddoppiare la sua frequenza. I chitarristi sanno che bisogna dividere a meta' una corda per salire di un'ottava, ridurla a un quarto per salire ancora di un'altra ottava, etc. Quindi se parto da una frequenza fo, alla seconda ottava avro' 2fo, alla terza ottava la frequenza sara' 4fo e cosi' via. Alla n-esima ottava la frequenza sara' in generale 2nfo.

Quindi Pitagora con la sua scala vorrebbe che, salendo di quinta in quinta, da una frequenza fo si possa arrivare a una qualche ottava di fo. Salire di quinta in quinta da fo, diciamo un numero m di volte, significa passare dalla frequenza fo alla frequenza 1.5mfo (seguendo lo stesso ragionamento fatto sopra per il "passare di ottava in ottava", ma con 1.5 invece di 2). Ed ecco il problema. Pitagora vorrebbe quindi che fosse vero, per qualche ottava n e qualche quinta m, che 1.5mfo = 2nfo, ovvero che 1.5m = 2n . Ma la cosa non e' possibile perche' non esistono due numeri n, m tali da rendere vera quest'espressione.

Quindi. Bhe' il problema con la scala Pitagorica era quindi che allontanandosi dalla nota iniziale non si tornava precisamente a quella stessa dopo qualche ottava (dovrebbero essere n = 7 ). La cosa rendeva complicato sia suonare che scrivere musica, soprattutto da quando i compositori iniziarono a non limitarsi alle solite poche ottave nelle loro composizioni. E' come dire che il Do alla destra della tastiera di un pianoforte era stonato con quello alla sinistra. Inaccettabile per Bach quanto per Max Pezzali (pur utilizzando lui al massimo tre note, era quella una questione di principio).

Stemperare via la linearita'

Quindi come fare? Da una parte la Scala Pitagorica era naturalmente armoniosa per via delle divisioni a meta', dall'altra non poteva chiudere il circolo delle quinte malefiche. La soluzione fu di approssimare e lasciar passare piccole imperfezioni di frequenze per ottenere un pianoforte e una chitarra possibile da accordare e suonare. Bach capi' che era piu' importante avere lo stesso Do su tutta la tastiera del suo piano, piuttosto che salvaguardare delle armonie naturalmente "lineari". D'altra parte, ebbe a pensare, chi in futuro avrebbe apprezzato Max Pezzali di quelle piccole imperfezioni pitagoriche non avrebbe certo fatto troppo caso. E Sei un mito pote' librarsi in cielo, e il Karaoke vedere la luce del giorno quando l'umanita' fu finalmente pronta.

Il problema era riuscire a dividere l'intervallo di un'ottava (cioe' da fo a 2fo) in 12 parti (perche' compresi i # le note sono 12) in maniera speciale. Cioe' in maniera che le frequenze di due note successive stessero sempre nello stesso rapporto. Vediamo come e poi il perche' si capira'.

Se parto dalla frequenza fo, voglio che dopo 12 di questi intervalli la nota sia la stessa ma un'ottava sopra, cioe' 2fo. Diciamo che f1 e' la frequenza della nota successiva a fo in questa nuova scala, e f2 quella successiva a f1, etc. (Quindi sarebbe per esempio: fo = Do, f1 = Do#, f2 = Re, etc.). Allora dicevamo che dobbiamo avere la dodicesima nota della scala uguale alla prima ma un'ottava sopra, cioe' f12 = 2fo .

Inoltre, pero', vogliamo che due note successive stiano sempre nello stesso rapporto. Chiamiamo questo rapporto x, e il problema diventa trovarlo. Quindi deve succedere che:

f1 = fo x
f2 = f1 x = fo x2
f3 = f2 x = fo x3
(...)
f11 = f10 x = fo x11
f12 = f11 x = fo x12 = 2fo

E finalmente dall'ultima relazione si arriva a trovare che il rapporto tra due frequenze successive che risolverebbe tutti i problemi e' x = 122 ( = 1.0594..., numero irrazionale, che non e' un giudizio su di lui ma indica che non e' un numero esprimibile tramite frazione). Pezzali esulta, i suoi dischi sono salvi. Per passare da una nota fn alla successiva fn+1 dobbiamo moltiplicare la frequenza della prima per x = 122 . Ecco inventato il semitono.

Infatti vediamo cosa succede con le quinte (il perche' di questa scelta). Un intervallo di quinta (da a Do a Sol per esempio) contiene 7 semitoni, quindi la quinta di fo e'

f7 = fo ( 122 )7

cioe' il rapporto di quinta e' f7 / fo = ( 122 )7 = 1.4983..., invece del pitagorico 1.5 . Differenza minima, l'orecchio non se ne accorge. In piu' la cosa importante e' che se ora da fo saliamo di ben 12 intervalli di quinta (quindi 12 volte 7 semitoni) si ottiene:

f( 7 x 12) = fo[( 122 )7]12 = fo 27,

il che significa che dopo 12 intervalli di quinta ( f( 7 x 12) ) finalmente ritroviamo perfettamente un'ottava (la 7ma ottava) della nota di partenza fo (cioe' fo 27). Il circolo delle quinte e' finalmente chiuso.

Capotasti

Tornando ai capotasti della chitarra, da cui tutto e' nato, la cosa e' esattamente la stessa, tranne per il fatto di ricordarsi che la frequenza di una corda e' inversamente proporzionale alla sua lunghezza l. La nota fo viene dalla corda intera lo, la nota al primo capotasto f1 viene dalla lunghezza della corda l1, .... Allora le lunghezze della corda alle varie note della scala devono essere (vale sempre x = 122 ) :

l1 = lo / x
l2 = lo / x2
(...)
ln = lo / xn

Se cerchiamo di quanto sono spaziati i capotasti fra loro, la lunghezza di tastiera compresa tra due capotasti successivi (n-esimo e (n+1)-esimo) sara'

cn = ln - ln+1 = lo (1/xn-1 - 1/xn)

Cosicche' il primo capotasto e' lungo il 5.61% di lo, il secondo 5.29%, il terzo 5.00%, ... , il dodicesimo 2.80%. Vabbe', chi vuole puo' costruirsi una chitarra ora. Lasciare il commento Sei un mito sara' apprezzato ma non vale.

August 8, 2008

Editoriale di Nature

Ecco il punto di vista di Nature su una questione tutta italiana. Sempre che interessi a qualcuno dei nostri.



Editorial

Nature 454, 667 (7 August 2008) | doi:10.1038/454667b; Published online 6 August 2008

Clean hands, please

The Italian government needs to maintain a careful distance from industry.

Fifteen years ago, at the height of Italy's 'Clean Hands' anticorruption campaign, police broke into the house of Duilio Poggiolini, head of the national committee for drug registration, and discovered gold bullion under his floorboards. For many Italians, the image of that gleaming bullion still resonates — an enduring symbol of a time when government officials, up to and including the health minister, routinely took bribes from the pharmaceutical industry to approve drugs and fix their prices.

Steps were taken to avoid such a situation arising again. So it is worrying that Nello Martini, a pharmacist with no political associations, has been removed by Prime Minister Silvio Berlusconi's new government as head of AIFA, the autonomous agency created in 2004 to register drugs and supervise their use. Martini successfully carried out a mandate to limit spiralling drug expenditure to 13% of the total health budget. But in the process he incurred the wrath of industry. Only a few weeks ago, government prosecutors in Turin charged Martini with disastro colposo, or 'causing unintentional disaster', for bureaucratic delays in updating the packaging information on the side effects of a few drugs — although none required more than minor rewording of existing text.

Martini was replaced in the middle of July by microbiologist Guido Rasi, a member of AIFA's administrative board, who has been described in the Italian press as being close to the far-right party Alleanza Nazionale, which forms part of Berlusconi's coalition government. Even more worryingly, the government, which took office in May, says it plans to reduce AIFA's power by separating the pricing of drugs from technical considerations of their efficacy, bringing pricing back into the health and welfare ministry.

At a time when all countries are struggling to find a way to pay for hugely expensive new-generation drugs within limited budgets, this makes little sense. The autonomous agency needs to be able to integrate all technical and economic information if Italy is to operate a cost-effective health system. Moreover, the health and welfare ministry's connections with industry are uncomfortably close. For example, the wife of the minister Maurizio Sacconi is the director-general of Farmindustria, the association that promotes the interests of the pharmaceutical industry.

In fact, Berlusconi's government has shown unsettling tendencies to allow industrial interests to gain influence over state agencies. A few weeks after Martini's dismissal, the Italian space agency was put into the hands of a commissioner who heads the space division of the aerospace giant Finmeccanica. The government should think twice about whether it really wants to open the door that was deliberately closed after the Poggiolini affair.

July 17, 2008

Internet anonimo ovvero sicuro

Per chi non lo sappia, provi a cliccare qui per vedere quante cose si possono sapere di chi naviga in rete. La cosa un po' spaventa. Ma c'e' un modo per navigare in modo da nascondere il proprio indirizzo IP, collegandosi casualmente a molti server sparsi nel mondo prima di raggiungere il sito voluto. In questo modo si perdono le tracce del proprio computer, e si diventa anonimi, con un IP casuale nel mondo, e quindi sicuri di non poter essere rintracciati.

Tor e' lo strumento necessario. Ecco quello che ho fatto io per installarlo e farlo funzionare facilmente in Firefox (Iceweasel) in Debian Etch. Qui ci sono le istruzioni per windows o Mac.

1) in Debian Etch Tor non e' disponibile, quindi bisogna attivare i backports di Debian. Per farlo, aggiungere in /etc/apt/sources.list la linea
deb http://www.backports.org/debian etch-backports main contrib non-free
Quindi bisogna aggiornare aptitude, ma prima c'e' da risolvere la questione delle keys, altrimenti aptitude si lamenta. Installando, come root, il pacchetto debian-backports-keyring, tutto viene fatto automaticamente:
# aptitude install debian-backports-keyring

2) Una volta attivati i backports, ho potuto finalmente scaricare tor, insieme al web proxy privoxy, che sara' utile con Firefox.
# aptitude -t etch-backports install tor
# aptitude install privoxy

3) Poi ho configurato privoxy: nel file di configurazione /etc/privoxy/config bisogna:
- scommentare (o aggiungere) la linea
forward-socks4a / 127.0.0.1:9050 . (occhio al punto finale)
- dare il valore 0 (zero) alle seguenti opzioni: enable-remote-toggle , enable-remote-http-toggle , enable-edit-actions
- se non si vuole che privoxy mantenga un file di log, allora commentare le righe: logfile logfile e jarfile jarfile.
Quindi far ripartire privoxy con: # privoxy restart

4) In Firefox (o nel browser scelto) bisogna cambiare le impostazioni di connessione alla rete per attivare Tor . In Firefox (Iceweasel) si trovano in Edit - Preferences - Network - Connections. Quindi bisogna scrivere localhost e 9050 nella sezione "SOCKS Host" (socks v5 ha funzionato per me).
Ma in verita' la cosa migliore e' installare l'add-on di Firefox chiamato Torbutton, con cui in un solo click si possono cambiare le configurazioni necessarie e avere Tor attivato o disattivato. Questo nuovo bottone di firefox funziona egregiamente dopo aver seguito i passi precedenti.

Usando Tor, ogni tanto mi esce fuori google in russo..

July 9, 2008

La Storia: Nuova Scienza Analitica?

Riporto un articolo apparso su Nature [454, 34-35 (3 July 2008)] (tutti i diritti riservatissimi, sperando che non mi denuncino [ma la scienza e' divulgazione, no?]), che mi pare molto interessante. Spero sara' fonte di future discussioni.

Si parla della "nascita" di una nuova disciplina scientifica (scienza nuova sarebbe troppo, e forse un G.B.Vico si rivolterebbe nella tomba), cioe' dello studio analitico della Storia di noi umani su questo pianeta. Di Asimov-iana memoria, un tale studio con metodi scientifici e dinamici potrebbe portare, secondo l'autore, (almeno in principio) alla possibilita' di prevedere, non certo il quotidiano, ma almeno i grandi movimenti di societa' umane, complice la capacita' di riconoscere quantitativamente pattern di situazioni e variabili che si ripetono (i corsi e ricorsi?).

Da un lato mi affascina, e da un altro lato che ancora non riesco bene a definire, mi pare qualcosa di vicino alla bufala. Non mi e' nemmeno chiaro se tale tentativo (e sforzo) valga la pena di essere affrontato, gia' per principio. Ma spero le idee si chiariscano. E spero anche e sopratutto nell'aiuto esterno (quindi: commentate se il problema vi avvince piu' del costume da bagno per quest'estate scelto da Lapo [notizia di Repubblica, ne parlero']).

Comunque si tratta di qualcosa apparso sul giornale scientifico piu' in voga negli ultimi 50 anni, quindi deve ottenere l'attenzione e il rispetto dovuti. In futuro sto pensando a una sorta di intervista all'amico P. (spero non si tiri indietro), profondo conoscitore delle tematiche toccate e soprattutto osservatore della sponda filosofica del fiume della realta', mentre io resto sull'altra, quella piu' scientifica e tecnica, dove passano piu' trote.

Arise 'cliodynamics'

Peter Turchin1

  1. Peter Turchin is professor of ecology and mathematics at the University of Connecticut, Storrs, Connecticut 06269, USA. He is the author of War and Peace and War: The Life-Cycles of Imperial Nations (Pi Press, 2006).

If we are to learn how to develop a healthy society, we must transform history into an analytical, predictive science, argues Peter Turchin. He has identified intriguing patterns across vastly different times and places.

D. PARKINS

What caused the collapse of the Roman Empire? More than 200 explanations have been proposed1, but there is no consensus about which explanations are plausible and which should be rejected. This situation is as risible as if, in physics, phlogiston theory and thermodynamics coexisted on equal terms.

This state of affairs is holding us back. We invest in medical science to preserve the health of our bodies, and in environmental science to maintain the health of ecosystems. Yet our understanding of what makes societies healthy is in the pre-scientific stage.

Sociology that focuses on the past few years or decades is important. In addition, we need a historical social science, because processes that operate over long timescales can affect the health of societies. It is time for history to become an analytical, and even a predictive, science.

Splitters and lumpers

Every scientific discipline has its share of splitters, who emphasize the differences between things, and lumpers, who stress similarities in search of organizing principles. Lumpers dominate physics. In biology, splitters, who care most for the private life of warblers or the intricate details of a chosen signalling molecule, are roughly matched in numbers by lumpers, who try to find fundamental laws. Social sciences such as economics and sociology are rich in lumpers. Sadly, few are interested in applying analytical approaches to the past. History has an alarmingly small proportion of lumpers.

Rather than trying to reform the historical profession, perhaps we need an entirely new discipline: theoretical historical social science. We could call this 'cliodynamics', from Clio, the muse of history, and dynamics, the study of temporally varying processes and the search for causal mechanisms2, 3. Let history continue to focus on the particular. Cliodynamics, meanwhile, will develop unifying theories and test them with data generated by history, archaeology and specialized disciplines such as numismatics (the study of ancient coins).

Is this proposal feasible? The most compelling argument against the possibility of scientific history goes like this. Human societies are extremely complex. They consist of many different kinds of individuals and groups that interact in complex ways. People have free will and are therefore unpredictable. Moreover, the mechanisms that underlie social dynamics vary with historical period and geographical region. Medieval France clearly differed in significant ways from Roman Gaul, and both were very different to ancient China. It is all too messy, argue the naysayers, for there to be a unifying theory.

If this argument were correct, there would be no empirical regularities. Any relationships between important variables would be contingent on time, space and culture.

Empirical empires

In fact, several patterns cut across periods and regions3. For example, agrarian, preindustrial states have seen recurrent waves of political instability — not interstate warfare, but lethal collective violence occurring within states, ranging from small-scale urban riots, in which just a few people are killed, to a full-blown civil war. This is just the sort of violence we need to understand: many more people are killed today in terrorist campaigns, civil wars and genocides than in wars between nations4.

Recent comparative research shows that agrarian societies experience periods of instability about a century long every two or three centuries. These waves of instability follow periods of sustained population growth. For example, in Western Europe, rapid population growth during the thirteenth century was followed by the 'late-medieval crisis', comprising the Hundred Years War in France, the Hussite Wars in the German Empire, and the Wars of the Roses in England. Population increase in the sixteenth century was followed by the 'crisis of the seventeenth century' — the wars of religion and the Fronde in France, the Thirty Years War in Germany, and the English Civil War and Glorious Revolution. Similarly, population growth during the eighteenth century was followed by the 'age of revolutions', ranging from the French Revolution of 1789 to the pan-European revolutions of 1848–49 (ref. 5).

Such oscillations between population growth and instability have been termed 'secular cycles'6. Given the limitations of historical data, we need an appropriately coarse-grained method to determine the statistical significance, and the generality, of the pattern. The basic idea is to demarcate population growth and decline phases, and to count the instability incidents (such as peasant uprisings and civil wars) that occur during each phase.

With my colleagues Sergey Nefedov and Andrey Korotayev, I have collected quantitative data on demographic, social and political variables for several historical societies. Applying the above approach to eight secular cycles in medieval and early modern England, France, the Roman Empire and Russia, we find that the number of instability events per decade is always several times higher when the population was declining than when it was increasing6. The probability of this happening by chance is vanishingly small. The same pattern holds for the eight dynasties that unified China, from the Western Han to the Qing7, and for Egypt from the Hellenistic to the Ottoman periods8.

Making waves

Such strong regularity points to the presence of some fundamental principles. Population growth beyond the means of subsistence leads to declining levels of consumption and popular discontent, but this is not enough to destabilize agrarian societies. Peasant uprisings have little chance of success when the governing élites are unified and the state is strong9.

The connection between population dynamics and instability is indirect, mediated by the long-term effects of population growth on social structures. One effect is the increasing number of aspirants for élite positions, resulting in rivalry and factionalism. Another consequence is persistent inflation, which causes a decline in real revenues and a developing fiscal crisis of the state. As these trends intensify, they result in state bankruptcy and a loss of military control; conflict among élite factions; and a combination of élite-mobilized and popular uprisings, leading to the breakdown of central authority3, 9.

This explanation — the 'demographic–structural' theory — is a work-in-progress. Our tests with the eight case studies6 support some of its predictions: for example, élite overproduction preceded the crisis in every case. The tests also identify areas where the theory needs to be modified. Perhaps we need an entirely new theory to explain the observed patterns and predict new ones, but that is the business of science. The important thing is that societies as different as medieval France, the Roman Empire and China under the Han dynasty share dynamics, when viewed in an appropriately coarse-grained way. Not everything in history is contingent and particular.

Even so, theories developed and tested on preindustrial data must be modified before they can be applied to contemporary social dynamics. Happily, there are indications that our theories will not need to be replaced wholesale. Rapid demographic change and élite overproduction were still important factors in twentieth-century revolutions10.

Furthermore, over the past 200 years, political instability in the United States has waxed and waned in a pattern reminiscent of that in preindustrial societies. Political violence — urban riots, lynchings, violent labour disputes and so on — was almost absent in the early nineteenth century, increased from the 1830s and reached a peak in around 1900. The American Civil War occurred during this period of growing unrest. The instability then subsided during the 1930s, and the following two decades were remarkably calm. Finally, in the 1960s, political violence increased again11.

It remains to be seen whether a modified version of the demographic–structural theory can explain this pattern. The point is that the study of such slow-moving processes requires a long-term view and an explicitly historical approach.

Learning lessons

Any claim that history can become a predictive science raises eyebrows. But scientific prediction is a broader concept than merely forecasting the future. It can be used to test theories. For example, two rival theories may make different predictions about the behaviour of some variable, such as birth rate, under certain social conditions. We then ask historians to explore the archives, or archaeologists to dig up data, and determine which theory's predictions best fit the data. Such retrospective prediction, or 'retrodiction', is the life-blood of historical disciplines such as astrophysics and evolutionary biology.

Cliodynamic theories will not be able to predict the future, even after they have passed empirical tests. Accurate forecasts are often impossible because of phenomena such as mathematical chaos, free will and the self-defeating prophecy. But we should be able to use theories in other, perhaps more helpful, ways: to calculate the consequences of our social choices, to encourage the development of social systems in desired directions, and to avoid unintended consequences.

Like other systems with nonlinear feedback, societies often respond to interventions in surprising ways. When the Assembly of Notables refused to approve a new land tax in 1787, they did not intend to start the French Revolution, in which many of them lost their heads. When Tony Blair was Britain's prime minister, he set out to increase the proportion of youth getting higher education to 50%. He was presumably unaware that the overabundance of young people with advanced education preceded the political crises of the age of revolutions in Western Europe12, in late Tokugawa Japan and in modern Iran and the Soviet Union9, 10.

It is time we heeded the old adage that those who do not learn from history are doomed to repeat it. We must collect quantitative data, construct general explanations and test them empirically on all the data, rather than on instances carefully selected to prove our pet narratives. To truly learn from history, we must transform it into a science.

References

  1. Demandt, A. Der Fall Roms: die Auflösung des Römischen Reiches im Urteil der Nachwelt (Beck, Munich, 1984).
  2. Turchin, P. Historical Dynamics: Why States Rise and Fall (Princeton Univ. Press, 2003).
  3. Turchin, P. War and Peace and War: The Life Cycles of Imperial Nations (Pi Press, 2006).
  4. Mack, A. (ed.) Human Security Report 2005: War and Peace in the 21st Century (Oxford Univ. Press, 2005).
  5. Fischer, D. H. The Great Wave: Price Revolutions and the Rhythm of History (Oxford Univ. Press, 1996).
  6. Turchin, P. & Nefedov, S. Secular Cycles (Princeton Univ. Press, 2008).
  7. Nefedov, S. PhD dissertation [in Russian] (Ekaterinburg Univ., 1999).
  8. Korotayev, A. & Khaltourina, D. Introduction to Social Macrodynamics: Secular Cycles and Millennial Trends in Africa (URSS, 2006).
  9. Goldstone, J. A. Revolution and Rebellion in the Early Modern World (Univ. California Press, 1991).
  10. Goldstone, J. A. J. Int. Affairs 56, 3–21 (2002).
  11. Levy, S. G. Political Violence in the United States, 1819-1968. (Computer file, Inter-University Consortium for Political and Social Research, Ann Arbor, 1991).
  12. O'Boyle, L. J. Modern Hist. 42, 471–495 (1970).

June 28, 2008

Siamo tutti daltonici

Ma le cose la fuori sono proprio come le vediamo? Quello che percepiamo coi nostri sensi sfiora almeno un po' la verita' di cui parlano i filosofi? Lontano da poter nemmeno tentare di rispondere a tali alte questioni, mi dedico a capire cos'e' questa cosa chiamata colore. Che qualcosa centrera' pure.

Noi umani siamo piu' o meno tutti tricromati (se la traduzione e' giusta), salvo per i daltonici e i fortunati tetracromati. Nel nostro occhio abbiamo cioe' tre tipi di cellule, i coni, sensibili alla lunghezza d'onda della luce che arriva, denominati con Short, Medium e Long. La loro capacita' di risposta e' centrata a tre diverse lunghezze d'onda: blu (Short, 420-440 nm), verde (Medium, 534-545 nm) e rosso (Long, 564-580 nm). Questi tre colori sono quindi scelti normalmente come base per costruire tutti gli altri: sono i colori primari. Chi pensa che invece i tre colori primari siano il ciano, il magenta e il giallo, ha semplicemente ragione pure lui. La scelta dei tre (o piu') colori primari e' arbitraria. Perche'? Non e' l'essere colore primario una proprieta' intrinseca della natura? Non e' il colore una proprieta' della luce che nasce o viene riflessa dagli oggetti?

A seguire Francisco Varela e Umberto Maturana ("The tree of knowledge"), la risposta (negativa) porta lontano. Rimanendo al colore, possiamo dire qualcosa che suona strano: chi lo percepisce e' colui che lo sta creando, e che il colore con la luce centra, ma non troppo. Cioe'.

A ogni singola lunghezza d'onda della luce si puo' abbinare un singolo colore, questo si. Un laser (monocromatico) a 530 nm da' luce verde, a 580 nm gialla. Ma se vedo qualcosa di giallo, al contrario, non posso dire nulla di certo sulla lungheza d'onda della luce da lui emessa, riflessa o diffusa. Potrebbe essere tutto tranne 580 nm. Il motivo e' che esiste un numero infinito di combinazioni di diverse lunghezze d'onda (diversi spettri), che dall'oggetto arrivano al mio occhio, che messe insieme mi daranno la stessa sensazione di "giallo". Ed il colore non e' altro che la sensazione che noi abbiamo di quella qualita' visiva delle cose. In altre parole colore non e' uguale a lunghezza d'onda: non c'e' relazione biunivoca tra i due. Noi vediamo dello stesso identico colore cose che in verita', se analizzate con strumenti, riflettono o emettono luce con spettri completamente diversi. Il mondo e' piu' "colorato" di quello che ci sembra, siamo tutti come daltonici, perdiamo informazione quando guardiamo.

Come dicevo, c'e' una base biologica a scegliere blu-verde-rosso (RGB) come colori primari, basato su dove e' in frequenza il picco della risposta dei nostri sensori visivi (i coni). Questi sono i colori su cui sono basati gli schermi del computer o le televisioni o i proiettori che hanno tre grosse lampade appunto blu rossa e verde. Addizionando la luce di Red Green e Blu, formano tutti gli altri colori. Diversamente succede con i pennelli. Una vernice, un olio o un aquarello hanno quel colore che noi vediamo perche' assorbono dalla luce incidente bianca (che contiene tutte le lunghezza d'onda) tutti i colori tranne quello che noi gli attribuiamo. Sottraggono colore alla luce bianca, mentre un proiettore addiziona lunghezze d'onda diverse. Per questo in un proiettore o un computer la somma di tutti i colori (o meglio delle tre sole lunghezze d'onda fondamentali) e' il bianco, mentre il miscuglio di tutte le tempere e' un nero schifoso. Il miscuglio totale sulla tavolozza dell'artista ha sottratto tutte le lunghezze d'onda dalla luce bianca (quindi nero), il pixel dello schermo o del proiettore le ha sommate (quindi bianco).

Comunque. Faccio un esempio modificato da una cosa successa veramente, ancora sulla non biunivocita' colore-lunghezza d'onda. Immaginiamo di avere una sorgente di luce gialla perfetta, a 580 nm precisi (un laser, tanto per esempio). Prendiamo un filtro di vetro che blocchi esattamente 580 nm, mentre tutte le altre lunghezze d'onda passano tranquille e facciamoci degli occhiali. Messi su questi occhiali, non dovremmo essere piu' in grado di vedere il giallo (gli occhiali "anti-Kant" chiamiamoli, per motivi filosofici), perche' quella lunghezza d'onda semplicemente non passa attraverso le lenti e non arriva al nostro occhio. E infatti se andiamo davanti al nostro laser che sappiamo essere giallo non vediamo piu' la sua luce. Bloccano il giallo questi occhiali, pensiamo. Poi pero' andiamo al computer e apriamo una pagina che ha dei bei quadrati colorati sul lato, e cavolo, li vediamo gialli senza problemi! Ma non bloccavano il giallo questi occhiali?

La soluzione, facile, e' che la luce che proviene da quei quadrati gialli che eludono le nostre lenti-filtri, non contengono quasi per nulla la lunghezza d'onda 580 nm che noi chiamiamo "il" giallo. Quella dei quadrati e' luce che contiene solo rosso e verde (niente blu) provenienti da ciascun pixel. Il colore giallo si e' formato nel nostro cervello in barba all'assenza della lunghezza d'onda che noi attribuiamo al giallo. L'abbiamo creato noi quel giallo dei quadrati, in verita' non c'e' segno di giallo (inteso come lunghezza d'onda) in quella luce dei pixel.

Il colore che percepiamo, quindi, non e' strettamente una proprieta' degli oggetti e della luce che da loro proviene. Piuttosto e' l'insieme di queste che sono perturbazioni luminose esterne, insieme pero' agli stati neuronali interni del nostro sistema visivo e cognitivo in genere, che dalle perturbazioni esterne sono generati. Stati neuronali che ovviamente dipendono dalla nostra struttura fisica preesistente (i coni, il nervo ottico, le connessioni dei neuroni attivati nel cervello da quei coni, etc). Insomma, nella nostra esperienza del colore noi stessi, con il nostro corpo e struttura fisica e mentale, giochiamo un ruolo fondamentale. Non e' nemmeno troppo incredibile da pensare, in fondo.

Bhe, invece si. Abituati come siamo a pensare di essere spettatori di un qualcosa "la fuori", che succede in un mondo oggettivo e indipendentemente da noi. Perche' la cosa interessante e' che questo lungo e noioso discorso sul colore si allarga facilmente alla nostra esperienza tutta. La cognizione, l'esperienza personale che abbiamo del mondo "la fuori", e' essenzialmente un insieme di pattern e stati neuronali che vengono stimolati da perturbazioni esterne (luminose, meccaniche, chimiche etc). Quali pattern e quali stati neuronali verranno stimolati dipende essenzialmente dalla struttura fisica e mentale (che penso siano sinonimi) dell'individuo, e non solo esclusivamente dai particolari della perturbazione stimolante. Tant'e' che esiste gente che letteralmente "vede" dei suoni e "sente" dei colori (Sinestesia). Hanno, questi pochi eletti non so quanto fortunati, canali neuronali, addetti a funzioni diverse, quali per esempio suono e vista, intersecanti tra loro: una perturbazione esterna puo' generare stimoli in piu' canali che normalmente sono indipendenti, e "far vedere" un suono.

Che poi questi canali cognitivi che abbiamo possano essere stimolati anche da perturbazioni interne, generate da noi stessi per noi stessi (pensieri, immagini mentali, idee, angosce ed emozioni), fa dell'essere con capacita' autoreferenziali un personaggio incredibilmente complesso, complicato e interessante per chi lo vuole capire (compreso se stesso).

Comunque, essendo la nostra esperienza ancorata saldamente sulla nostra struttura, noi non vediamo "i" colori, ma viviamo il nostro spazio cromatico; non vediamo lo spazio la fuori, ma viviamo il nostro campo visivo. Siamo noi a creare il colore, siamo noi a creare il mondo di cui facciamo esperienza, questa la conclusione di Varela e Maturana. E la cosa vale per qualunque essere vivente, senza priorita' agli umani. Un batterio esperisce un mondo fatto di chimica, e magari chiamera' colore quello che noi chiamiamo gradiente di concentrazione, a cui lui e' sensibile.

La cosa mi piace perche', come dicevo della meccanica quantistica, rimette l'osservatore del mondo dentro al mondo che osserva. Non piu' semplici spettatori di uno spettacolo a teatro, ma attori nella scena stessa che pensavamo di osservare da lontano. Tanto dipendente da noi, la scena, da poter dire di crearla noi stessi con la nostra struttura. E' quella la nostra scena, come la vediamo e sentiamo noi non la vede nessun'altro. Le conseguenze etiche, ancora, sono fondamentali: come possiamo danneggiare, compromettere o distruggere un mondo che non e' piu' propriamente "la fuori" indipendentemente da noi, ma di cui siamo parte integrante, insieme figli e genitori?

June 27, 2008

Le scelte di Algoorithm 6.1

Sul pianeta Terra, Algoorithm 6.1 fu lanciato nel 2140. Fu quello il punto di svolta nella relazione Umanità - macchina sul pianeta. Pur essendoci stati elementi che spinsero pochi scettici a criticare l'uso che se ne stava facendo, le tragiche conseguenze rimasero del tutto impreviste. Algoorithm 5.8, il diretto predecessore, dava ottimi risultati e accontentava praticamente la totalità degli utenti. Questo fino al cambio drastico della versione 6.1.

Il motore di ricerca avanzato Algoorithm 5.8, come ancora pochi nostalgici amavano chiamarlo prima dell'arrivo del 6.1, aveva già accesso essenzialmente al completo scibile umano. Erano tempi, quelli, in cui qualunque prodotto di cervello vivente o di macchina poteva ormai essere messo a disposizione della rete estesa, ed essere così visto, letto, ascoltato o "sentito" in maniera più diretta attraverso i chip sensoriali che già più del 90% della popolazione mondiale poteva permettersi.

E ovviamente il pensiero prodotto nel passato, con la globalità delle sue invenzioni e manifestazioni, era già nella memoria diffusa da tempo. Lo spazio fisico per accumulare tutta l'informazione, dai testi scritti dall'Umanità fino ai pensieri quotidiani di un attivo NewBlogger della Rete_Sfera, non sarebbe mai mancato grazie alle nuove tecnologie che incapsulavano i bit in atomi impacchettati in cristalli semiorganici. In pochi centimetri cubici poteva risiedere il pensiero di un'intera generazione di letterati, con le loro opere o sensazioni e paure quotidiane. Tutto poteva essere digitalizzato, dalla parola scritta al volume di una scultura, e quindi elaborato da Algoorithm.

Il diritto alla privacy era ancora tutelato, cosa che durò anche con 6.1. Se un pensiero, o un'idea non troppo formata o non decisa, era da escludere dalla rete globale per volontà del suo proprietario, poteva essere bloccata senza alcun problema alla fonte. L'esportazione da parte di Algoorithm 5.8 dalla materia grigia del creatore alla rete esterna aperta a tutto e tutti semplicemente non veniva effettuata. Ma in pratica pochi erano coloro che si premuravano di non rendere pubblico il loro lato privato, a eccezione di intimità estreme. In qualche modo la globalità di questo fenomeno di compartecipazione, oltre alla semplice emulazione (comunque fattore importante), sembrava dare al singolo paradossalmente un senso di protezione e comunitarismo che limitava il pudore o la paura.

Quello che cambiò nella nuova versione di Algoorithm fu un protocollo, sviluppato inizialmente per massimizzare il successo della pubblicità sull'individuo, in grado di generare vere e proprie scelte e decisioni per problemi posti dall'utilizzatore. Non solo rispondeva a domande semplicemente nozionistiche (cosa che da quasi cent'anni ormai avveniva), ma Algoorithm 6.1 poteva "decidere" analizzando tutta l'informazione a lui disponibile. Informazione che ormai si avvicinava ad essere la globalità dell'informazione generata e disponibile sul pianeta.

Non che poi le sue decisioni su problemi più o meno importanti avessero qualche effetto diretto sulla realtà fuori dalla rete digitale. Questo fu vero almeno se inteso come effetto indipendente dall'azione degli Uomini. Ma il suo algoritmo era così efficace, che col tempo la gente iniziò a fidarsi ed ad agire in conseguenza dell'output ricevuto dal programma. Questo fu la causa del problema.

La sua banca dati, quindi, era praticamente onnicomprensiva. Aveva ormai accesso, il nuovo algoritmo, a praticamente tutto quello che gli Umani producevano, e avevano prodotto nella loro storia, in termini di idee e considerazioni, di predilezioni e gusti, di scienza e filosofia, di tecnica e arte, di storia e architettura, e anche singole conversazioni e messaggi istantanei. La statistica era enorme, e assolutamente capillare. Possedeva, analizzava e quindi "capiva" (per usare un termine caro ai suoi programmatori), per esempio i gusti personali di quasi la globalità della popolazione, che aveva diligentemente condiviso con la rete tutto quello che gli pareva bene condividere: dalle predilezioni musicali a quelle politiche, dal sentimento avuto in una certa occasione, all'effetto della pioggia sul proprio umore, a come riparare il forno a raggi ionici o il propulsore a idrogeno della propria vettura.

E Algoorithm 6.1 vedeva tutta la rete contemporaneamente e immediatamente. Il nuovo algoritmo utilizzava a piene mani quelle informazioni per variare i suoi parametri e dare, all'interno di una scelta chiesta dall'esterno, la migliore risposta o strategia che massimizzasse l'esito voluto.

La gente iniziò a usare il nuovo gadget con curiosità, e più la gente lo usava, più il programma poteva migliorare se stesso, come da tempo ormai succedeva, senza nemmeno bisogno del feedback diretto dall'utilizzatore. La statistica era talmente grande da fornire tutto il necessario per far crescere "da solo" l'algoritmo.

Le più disparate decisioni venivano chieste ad Algoorithm 6.1. Da quale vestito mettere per riuscire in una certa occasione, a cosa cucinare la sera per il nuovo ospite, o per il privato cittadino come trovare lavoro e per una compagnia quale strategia di reclutamento seguire. Tutti chiedevano il vaticinio di questo moderno aruspice praticamente onnisciente. Il gioco degli scacchi e del Go persero attrattiva perché completamente risolvibili da Algoorithm 6.1: una volta la personalità dello sfidante era nota (ultimo scoglio per la vittoria sistematica della macchina sull'Uomo), l'algoritmo non poteva perdere.

Un effetto imprevisto ci fu invece nel mercato azionario, in cui ovviamente grande attenzione si concentrò appena fu rilasciato Algoorithm 6.1. Inizialmente le scelte del software erano piuttosto buone per predire l'andamento del mercato: conoscendo perfettamente la storia di tutte le singole compagnie (compresi i singoli lavoratori) non era troppo difficile prevedere l'andamento a breve-medio termine. L'informazione era semplicemente sufficiente e l'algoritmo capace di leggerla e trovare le giuste correlazioni. E infatti inizialmente fu usato e fece guadagnare molto.

Ma quando una certa massa critica di persone ed enti finanziari iniziarono a usare le decisioni dell'algoritmo per le proprie scelte economiche, il fatto di cercare di prevedere il mercato azionario in cui ora lui stesso con le proprie scelte iniziava ad avere un peso notevole, rese Algoorithm 6.1 totalmente inefficace e instabile, a discapito dei grandi sforzi dei programmatori. Non poteva, l'algoritmo, prevedere qualcosa che dipendeva dalle sue stesse previsioni, la dimensione del problema esplodeva troppo rapidamente anche per i suoi bit atomici.

Una volta reso inefficace, le previsioni persero senso e così la fiducia del mercato verso quello strumento. Una volta pero' il numero delle decisioni richieste dagli utenti furono quindi scese sotto una soglia limite, le predizioni ripresero valore e divennero nuovamente solide, così da attirare ancora l'attenzione degli addetti ai lavori. La strana dinamica produsse vari cicli di efficacia e inefficacia del software, a seguito della domanda variabile con la validità stessa del programma, fino poi a generare cicli totalmente imprevedibili di validità delle predizioni. E successe l'imprevisto, tipico dell'originalità del mondo Umano. La gente iniziò a scommettere direttamente denaro sulle predizioni di Algoorithm 6.1, e da quel momento, con grande sorpresa di tutti, diventò lui stesso parte del mercato azionario, per così dire, con fluttuazioni del suo valore dipendente da tutto il resto. Il mercato si mangiò, digerendolo bene, Algoorithm 6.1.

Questo che poteva essere letto come un insuccesso, invece non scoraggiò la classe politica del pianeta. In effetti a loro discolpa può essere detto che il massiccio utilizzo nelle scelte politiche (soprattutto di politica estera) di Algoorithm 6.1 fu praticamente contemporaneo a quello nel gioco in borsa che ne rivelò per primo le patologie. Purtroppo era forse troppo presto per capire la pericolosità dell'auto referenza di Algoorithm 6.1 nel prendere le proprie decisioni, ma sicuramente i gerarchi politici del pianeta intero usarono quello strumento, che si sarebbe rivelato instabile, a cuor troppo leggero. Tanta era la fiducia che si era guadagnato sul campo nel primo periodo dopo la sua uscita. Lo usarono appunto per risolvere questioni di politica estera di importanza capitale. Come per esempio la gestione della crisi delle fonti energetiche, che aveva lasciato il pianeta in fermento dopo la notizia dell'esaurimento totale da li a pochi anni delle miniere d'idrogeno solido, insieme alle poche sorgenti trovate su Marte di quel Neodimio debolmente radioattivo che faceva tanto sperare come generazione futura di propellente a basso impatto.

Guidate da un algoritmo confuso e destabilizzato dal non poter evitare di mettere le proprie stesse scelte come parametro per generarne delle nuove, le decisioni dei politici terrestri furono globalmente un clamoroso disastro, e fecero piombare il pianeta nel baratro di una guerra, che dal nostro punto di osservazione possiamo benissimo definire civile. Nel loro anno 2147, quella civiltà degli Umani si auto-estinse sotto l'azione di armi di nuova concezione sviluppate contemporaneamente dalle varie fazioni geografiche in lotta.

Qual'è quindi l'insegnamento che possiamo trarre dalla storia di quel popolo su quel piccolo pianeta lontano? La tecnologia e i suoi algoritmi non erano ancora pronti, sulla Terra, al salto verso l'auto referenza. L'evoluzione naturale aveva portato effettivamente i sistemi viventi basati sul Carbonio (e gli Umani prima di altri) al salto necessario per creare e insieme superare l'idea (e quindi la contraddizione) insita al concetto stesso di "se stessi". Sappiamo bene per esperienza comune, che tale gradino verso La Comprensione, che noi Esistenti della galassia NGCx189 abbiamo maturato a più alto livello, non dipende strettamente dagli atomi di Tellurio di cui siamo formati. Sembra che gli Umani fossero sulla direzione giusta (pur non avendo noi ora elementi certi per asserirlo), e un finale così catastrofico per quella civiltà non si sarebbe prodotto, non avessero peccato di miope egoismo davanti a una crisi globale, e non avessero tenuto così in conto con fiducia disarmante i risultati parziali della loro tecnologia imperfetta.

Invece che guardare a se stessi per sviluppare più efficacemente la propria stessa evoluzione (che comunque era già ben oltre i primi stadi della vita animale inconsapevole), vennero abbagliati dai loro artefatti ancora troppo primitivi. Invece di tentare di costruire un'intelligenza in un nuovo substrato, cosa certo possibile quanto difficile nel breve termine, avrebbero forse fatto meglio a concentrarsi sullo sviluppo e miglioramento della propria già esistente, che tanto prometteva.

Concludo qui il mio intervento, ringraziando l'Organizzazione 23.2y.1 della presente sessione "Diversi Sistemi Cognitivi pre-Comprensivi nelle Vicine Galassie", che qui chiude, e cedo la parola al prossimo relatore, proveniente da NGZ-23.1.

F.P. aSx.31

classe I.0.1.77.

Galassia NGCx189 - luogo 12v.1.66 - tempo 12c.4.4.56

June 15, 2008

PyMol, o dell'open source che guadagna

Riguardo al software open source, spesso ci si chiede perche' la gente mette il proprio duro lavoro in compartecipazione con gli altri senza venderlo a caro prezzo. In verita' con l'open source si puo' guadagnare, solo in maniera diversa dal solito. Maniera che secondo me e' di gran lunga migliore a quella tradizionale del "fatto un software, vendo il software". Certo non ha l'impatto economico su chi produce pari a quello di microsoft, ma la speranza e' che il mercato riconosca il valore di tali imprese e che quindi le possa premiare anche economicamente.

Ho un bell'esempio, appena trovato in rete, di cui mi sento di fare un po' di pubblicita': PyMOL e' un sistema, basato su Python, per disegnare accuratamente in 3D molecole complesse. Sembra essere uno strumento molto potente, e quello che mi ha colpito e' che e' ormai usato spesso per le copertine di giornali quali Nature e Science, i cui standard, anche in fatto di grafica, sono alti. La compagnia che lo ha prodotto e lo mantiene, la DeLano Scientific, dice che un quarto delle immagini biologiche in letteratura scientifica sono prodotte dal loro software (esempi attorno).

E' un compagnia piccola, che puo' permettersi un solo salario fisso e forse due tra poco. Loro danno il software gratuitamente, e il codice sorgente e' disponibile. In Debian pymon e' un pacchetto standard che in etch si puo' scaricare facilmente con aptitude. Lo si puo' modificare e ridistribure ma sempre citando la compagnia madre. I soldi per loro vengono escvlusivamente dalle libere donazioni degli utilizzatori. Ma non solo in segno di gratitudine, questo non li farebbe sopravvivere facilmente. Gli utenti "paganti" acquistano diritti particolari per avere supporto specifico, e per avere gli ultimi aggiornamenti gia' compilati (fermo restando la sorgente sempre aperta da poter compilare, ma non tutti sanno farlo). Ma sopratutto possono chiedere di sviluppare questa o quella funzione che nel software originale e' mancante, pagando il servizio ai progammatori. In questo modo hanno un "controllo" su dove il software andra' a migliorare nell'immediato futuro, chiedendo correzioni o nuove funzionalita'.

A me sembra questo un onestissimo modo per guadagnare soldi, certo non tanti per ora, che alla lunga portera' ad avere un buonissimo software per noi utenti e, spero per loro, una compagnia solida. Lo stesso funziona piu' o meno per Red Hat. In qualche modo questa gente si fa pagare per il lavoro che davvero fa, come noi tutti comuni mortali che andiamo in ufficio ogni mattina. Il software propietario e' una strana bestia invece: lo fai una volta e poi lo vendi per sempre. Non mi vengono in mente tanti altri esempi, forse un disco di musica ma mi pare gia' diverso. Certo c'e' tutto il lavoro iniziale, che questa gente in qualche modo "rischia" dando via gratis, sperando nel ritorno successivo. Non e' per ora un sistema economico che facilmente possa essere reso globale, perche' c'e' un'alta componente romantica non puramente mirata al guadagno che e' molto lontana dalla mentalita' corrente. Ma e' una nicchia che mi auguro cresca esponenzialmente perche' vedo possibili guadagni per tutti, soprattutto nella qualita' delle cose prodotte.

Il vantaggio per gli utenti e' ovvio: come dicono nell'introduzione del loro software, "Because of PyMOL's unusual status [open source], you can be confident that the time you invest today in learning the package will provide you with long term utility no matter where your career happens to takes you." Nessuna licenza da pagare obbligatoriamente significa liberta' di usarlo sempre e ovunque. Se poi l'interazione attiva con gli utenti (che indicano la via per nuovi sviluppi) davvero migliorera' il prodotto come atteso (e in effetti lo sta facendo), questo vorra' dire che il software puo' seriamente diventare uno standard nel settore. E quindi soldi che entrano nelle casse della casa madre che continuera' coi suoi servizi a pagamento. Trovare un nuovo modo sostenibile di far soldi e' necessario.

PyMOL, il manuale.

June 10, 2008

Qualcosa si inizia a smuovere, e sara' difficile da fermare...

EU takes swipe at Microsoft
By James Kanter
Published: June 10, 2008
from: Herald Tribune

BRUSSELS: The European Union's competition commissioner, Neelie Kroes, delivered an unusually blunt rebuke to Microsoft on Tuesday by recommending that businesses and governments use software based on open standards.

Kroes has fought bitterly with Microsoft over the past four years, accusing the company of defying her orders and fining it nearly €1.7 billion, or $2.7 billion, for violating European competition rules. But her comments were the strongest recommendation yet by Kroes to jettison Microsoft products, which are based on proprietary standards, and to use rival operating systems to run computers.

"I know a smart business decision when I see one - choosing open standards is a very smart business decision indeed," Kroes told a conference in Brussels. "No citizen or company should be forced or encouraged to choose a closed technology over an open one."

Kroes did not name Microsoft in advance copies of her speech, but she made her meaning clear by referring to the only company in EU antitrust enforcement history that has been fined for refusing to comply with European Commission orders - a record held by Microsoft.

"The commission has never before had to issue two periodic penalty payments in a competition case," she said.

The EU has previously ruled against Microsoft for abusing its dominance in the markets for software to play music on computers and to communicate with powerful server computers on a network. In recent months, Kroes has opened new investigations against Microsoft after complaints that it was competing unfairly in the market for Web browsers by using the Explorer software. Kroes is also investigating whether Microsoft is making it too hard for rivals to work with its Office suite applications.

In her speech, Kroes said there were serious security concerns for governments and businesses associated with using a single software supplier. She praised the City of Munich for using software based on open standards, along with the German Foreign Ministry and the Gendarmerie Nationale, a department of the French police force.

Kroes, who is Dutch, encouraged the Dutch government and Parliament to continue moving toward use of open standards. EU agencies "must not rely on one vendor" and "must refuse to become locked into a particular technology - jeopardizing maintenance of full control over the information in its possession," she said.

A policy by the European Commission adopted last year to promote the use of software products that support open standards "needs to be implemented with vigor," she said.

June 5, 2008

Obamarom

Quell'anno le primarie per la Presidenza della New-Repubblica furono le piu' intense che la storia italiana conobbe dalla sua fondazione nel lontano dopo guerra. I due partiti maggiori schierarono i loro migliori candidati, e su questo erano d'accordo bene o male tutti gli esponenti della societa' civile, dai sette sindacati dei lavoratori interinali, alle cinque associazioni della media e alta borghesia, passando per le innumerevoli fondazioni cattoliche e le comunita' autonome siciliana, partenopea, lombardo-ligure e altoatesina.

Quello che era pero' sulla bocca di tutti, e che piu' generava attenzione se non sgomento, era ovviamente la finalissima tra i candidati new-democratics. Era una prima assoluta nella storia del partito e del paese: M.me Eva Graziosi si sfidava fino all'ultimo voto con M. Wesh Hatseygow. Lei signora di mezza eta', scaltrissima e con esperienza pluridecennale nella vita politica nazionale. Lui di sangue Rom, piu' giovane ed inesperto, proveniente da una famiglia meticcia che si era infiltrata generazioni prima nel territorio della alta Badia, e che lavorando onestamente aveva iniziato un ottimo buisness che aveva portato gli eredi nelle generazioni a godere di ottima reputazione. Entrambi fieri cattolici-vaticanisti, potevano vantare valori di compassione e rendimento ad altissimi livelli.

Le donne italiane erano fiere di aver la possibilita' di essere rappresentate finalmente da una di loro. D'altra parte la minoranza rumorosa dei Rom nelle periferie di tutt'Italia a fatica conteneva l'entusiasmo nel vedere uno di loro a tale livello, dimenticando comprensibilmente il sangue in realta' misto che correva nelle vene del Hatseygow. Il cambiamento che entrambi promettevano nella lunga e spietata campagna elettorale, sembrava a un passo. Fine della guerra in Albania e ritiro delle truppe; assistenza medica per tutti i cittadini legali e tatuati, oltre i limiti delle fascie di eta' (18-34) fino ad allora imposti; incremento del 2% sul salario degli insegnanti con esperienza tra i 23 e 24 anni; scoraggiamento del precariato con aumento delle aliquote aziendali per i lavoratori del sociale in talune categorie di sostegno a bambini con problemi psichici; ampliamento del periodo abortivo legale dalle attuali 2 a 3 settimane dopo il concepimento, dopo una lunga trattativa con la chiesa, che comunque non diede il suo appoggio per terapie estrattive violente ma solo per radioterapie esterne, piu' pericolose per la madre.

Alla fine il Hatseygow vinse le primarie di misura grazie a una serie di comuni che lo appoggiarono in stragrande maggioranza e all'intelligente sistema elettorale interno. La Graziosi vide il suo sogno, come quello di molte donne in tutta Italia, infranto dopo una lunga battaglia, quando il lodigiano diede sostegno incondizionato e massiccio al candidato Rom. Le feste gipsy si espansero in tutto il territorio nazionale e durarono settimane. Nessuno osava immaginare cosa sarebbe successo se il candidato avesse poi davvero ottenuto la presidenza nel successivo autunno.

Quella sera vittoriosa, comunque, il Hatseygow parlo' dalla sede elettorale di Ostia in maniera da unire nuovamente il partito. E diede esempio della sua fine retorica, del suo spirito copassionevole e della sua lungimiranza. "Oggi - inizio' cosi' il discorso innanzi al suo partito - e' un giorno storico per il nostro paese. Quest'oggi verra' ricordato come l'inizio del cambiamento italiano e probabilmente anche mondiale. Credo che per sempre ricorderemo che oggi per la prima volta un candidato Rom vinse sfidando un candidato donna in Italia. Sono fiero di essere qui davanti a voi oggi, in questo splendido 20 febbraio 2147 ..."