Ma le cose la fuori sono proprio come le vediamo? Quello che percepiamo coi nostri sensi sfiora almeno un po' la verita' di cui parlano i filosofi? Lontano da poter nemmeno tentare di rispondere a tali alte questioni, mi dedico a capire cos'e' questa cosa chiamata colore. Che qualcosa centrera' pure.
Noi umani siamo piu' o meno tutti tricromati (se la traduzione e' giusta), salvo per i daltonici e i fortunati tetracromati. Nel nostro occhio abbiamo cioe' tre tipi di cellule, i coni, sensibili alla lunghezza d'onda della luce che arriva, denominati con Short, Medium e Long. La loro capacita' di risposta e' centrata a tre diverse lunghezze d'onda: blu (Short, 420-440 nm), verde (Medium, 534-545 nm) e rosso (Long, 564-580 nm). Questi tre colori sono quindi scelti normalmente come base per costruire tutti gli altri: sono i colori primari. Chi pensa che invece i tre colori primari siano il ciano, il magenta e il giallo, ha semplicemente ragione pure lui. La scelta dei tre (o piu') colori primari e' arbitraria. Perche'? Non e' l'essere colore primario una proprieta' intrinseca della natura? Non e' il colore una proprieta' della luce che nasce o viene riflessa dagli oggetti?
A seguire Francisco Varela e Umberto Maturana ("The tree of knowledge"), la risposta (negativa) porta lontano. Rimanendo al colore, possiamo dire qualcosa che suona strano: chi lo percepisce e' colui che lo sta creando, e che il colore con la luce centra, ma non troppo. Cioe'.
A ogni singola lunghezza d'onda della luce si puo' abbinare un singolo colore, questo si. Un laser (monocromatico) a 530 nm da' luce verde, a 580 nm gialla. Ma se vedo qualcosa di giallo, al contrario, non posso dire nulla di certo sulla lungheza d'onda della luce da lui emessa, riflessa o diffusa. Potrebbe essere tutto tranne 580 nm. Il motivo e' che esiste un numero infinito di combinazioni di diverse lunghezze d'onda (diversi spettri), che dall'oggetto arrivano al mio occhio, che messe insieme mi daranno la stessa sensazione di "giallo". Ed il colore non e' altro che la sensazione che noi abbiamo di quella qualita' visiva delle cose. In altre parole colore non e' uguale a lunghezza d'onda: non c'e' relazione biunivoca tra i due. Noi vediamo dello stesso identico colore cose che in verita', se analizzate con strumenti, riflettono o emettono luce con spettri completamente diversi. Il mondo e' piu' "colorato" di quello che ci sembra, siamo tutti come daltonici, perdiamo informazione quando guardiamo.
Come dicevo, c'e' una base biologica a scegliere blu-verde-rosso (RGB) come colori primari, basato su dove e' in frequenza il picco della risposta dei nostri sensori visivi (i coni). Questi sono i colori su cui sono basati gli schermi del computer o le televisioni o i proiettori che hanno tre grosse lampade appunto blu rossa e verde. Addizionando la luce di Red Green e Blu, formano tutti gli altri colori. Diversamente succede con i pennelli. Una vernice, un olio o un aquarello hanno quel colore che noi vediamo perche' assorbono dalla luce incidente bianca (che contiene tutte le lunghezza d'onda) tutti i colori tranne quello che noi gli attribuiamo. Sottraggono colore alla luce bianca, mentre un proiettore addiziona lunghezze d'onda diverse. Per questo in un proiettore o un computer la somma di tutti i colori (o meglio delle tre sole lunghezze d'onda fondamentali) e' il bianco, mentre il miscuglio di tutte le tempere e' un nero schifoso. Il miscuglio totale sulla tavolozza dell'artista ha sottratto tutte le lunghezze d'onda dalla luce bianca (quindi nero), il pixel dello schermo o del proiettore le ha sommate (quindi bianco).
Comunque. Faccio un esempio modificato da una cosa successa veramente, ancora sulla non biunivocita' colore-lunghezza d'onda. Immaginiamo di avere una sorgente di luce gialla perfetta, a 580 nm precisi (un laser, tanto per esempio). Prendiamo un filtro di vetro che blocchi esattamente 580 nm, mentre tutte le altre lunghezze d'onda passano tranquille e facciamoci degli occhiali. Messi su questi occhiali, non dovremmo essere piu' in grado di vedere il giallo (gli occhiali "anti-Kant" chiamiamoli, per motivi filosofici), perche' quella lunghezza d'onda semplicemente non passa attraverso le lenti e non arriva al nostro occhio. E infatti se andiamo davanti al nostro laser che sappiamo essere giallo non vediamo piu' la sua luce. Bloccano il giallo questi occhiali, pensiamo. Poi pero' andiamo al computer e apriamo una pagina che ha dei bei quadrati colorati sul lato, e cavolo, li vediamo gialli senza problemi! Ma non bloccavano il giallo questi occhiali?
La soluzione, facile, e' che la luce che proviene da quei quadrati gialli che eludono le nostre lenti-filtri, non contengono quasi per nulla la lunghezza d'onda 580 nm che noi chiamiamo "il" giallo. Quella dei quadrati e' luce che contiene solo rosso e verde (niente blu) provenienti da ciascun pixel. Il colore giallo si e' formato nel nostro cervello in barba all'assenza della lunghezza d'onda che noi attribuiamo al giallo. L'abbiamo creato noi quel giallo dei quadrati, in verita' non c'e' segno di giallo (inteso come lunghezza d'onda) in quella luce dei pixel.
Il colore che percepiamo, quindi, non e' strettamente una proprieta' degli oggetti e della luce che da loro proviene. Piuttosto e' l'insieme di queste che sono perturbazioni luminose esterne, insieme pero' agli stati neuronali interni del nostro sistema visivo e cognitivo in genere, che dalle perturbazioni esterne sono generati. Stati neuronali che ovviamente dipendono dalla nostra struttura fisica preesistente (i coni, il nervo ottico, le connessioni dei neuroni attivati nel cervello da quei coni, etc). Insomma, nella nostra esperienza del colore noi stessi, con il nostro corpo e struttura fisica e mentale, giochiamo un ruolo fondamentale. Non e' nemmeno troppo incredibile da pensare, in fondo.
Bhe, invece si. Abituati come siamo a pensare di essere spettatori di un qualcosa "la fuori", che succede in un mondo oggettivo e indipendentemente da noi. Perche' la cosa interessante e' che questo lungo e noioso discorso sul colore si allarga facilmente alla nostra esperienza tutta. La cognizione, l'esperienza personale che abbiamo del mondo "la fuori", e' essenzialmente un insieme di pattern e stati neuronali che vengono stimolati da perturbazioni esterne (luminose, meccaniche, chimiche etc). Quali pattern e quali stati neuronali verranno stimolati dipende essenzialmente dalla struttura fisica e mentale (che penso siano sinonimi) dell'individuo, e non solo esclusivamente dai particolari della perturbazione stimolante. Tant'e' che esiste gente che letteralmente "vede" dei suoni e "sente" dei colori (Sinestesia). Hanno, questi pochi eletti non so quanto fortunati, canali neuronali, addetti a funzioni diverse, quali per esempio suono e vista, intersecanti tra loro: una perturbazione esterna puo' generare stimoli in piu' canali che normalmente sono indipendenti, e "far vedere" un suono.
Che poi questi canali cognitivi che abbiamo possano essere stimolati anche da perturbazioni interne, generate da noi stessi per noi stessi (pensieri, immagini mentali, idee, angosce ed emozioni), fa dell'essere con capacita' autoreferenziali un personaggio incredibilmente complesso, complicato e interessante per chi lo vuole capire (compreso se stesso).
Comunque, essendo la nostra esperienza ancorata saldamente sulla nostra struttura, noi non vediamo "i" colori, ma viviamo il nostro spazio cromatico; non vediamo lo spazio la fuori, ma viviamo il nostro campo visivo. Siamo noi a creare il colore, siamo noi a creare il mondo di cui facciamo esperienza, questa la conclusione di Varela e Maturana. E la cosa vale per qualunque essere vivente, senza priorita' agli umani. Un batterio esperisce un mondo fatto di chimica, e magari chiamera' colore quello che noi chiamiamo gradiente di concentrazione, a cui lui e' sensibile.
La cosa mi piace perche', come dicevo della meccanica quantistica, rimette l'osservatore del mondo dentro al mondo che osserva. Non piu' semplici spettatori di uno spettacolo a teatro, ma attori nella scena stessa che pensavamo di osservare da lontano. Tanto dipendente da noi, la scena, da poter dire di crearla noi stessi con la nostra struttura. E' quella la nostra scena, come la vediamo e sentiamo noi non la vede nessun'altro. Le conseguenze etiche, ancora, sono fondamentali: come possiamo danneggiare, compromettere o distruggere un mondo che non e' piu' propriamente "la fuori" indipendentemente da noi, ma di cui siamo parte integrante, insieme figli e genitori?